Pochi giorni fa sono stata chiamata per un’intervista sulla mia carriera dopo la laurea, presa un anno e mezzo fa, tra una miriade di avversità e sacrifici.
Non è che ci fosse granchè da dire e le domande erano molto generiche.
Una cosa però mi ha colpito: dal saluto alle domande, ai ringraziamenti, tutto ciò che mi veniva detto era accompagnato dal mio titolo “Dottoressa”.
Sicuramente una formalità, che, però, soprattutto per noi donne, non è mai così scontata.
Quante dottoresse nell’ambito della professione lavorativa si sono sentite dare della signorina, mentre il collega maschio veniva chiamato dottore? Quante professioniste scambiate per la segretaria? Insomma, già solo per come vanno le cose nella nostra penisola baciata dal sole e dal patriarcato, mi faceva piacere sentire qualcuno chiamarmi col mio titolo di studio.
Se poi contiamo la fatica per ottenerlo e l’aiuto dei miei genitori e di mia zia, mi sono sentita orgogliosa, è stata come una coccola data al momento giusto.
La possibilità di studiare viene spesso sottovalutata, non pensiamo che la possibilità di frequentare determinate facoltà è praticamente un lusso invece, soprattutto quelle a frequenza obbligatoria o con tirocini di mesi non pagati. Non che i corsi nei quali la frequenza non è necessaria siano più accessibili: i libri costano, spostarsi costa e lo status di studente lavoratore si ottiene con difficoltà. Accedere poi ai corsi magistrali spesso è complicato, vengono favoriti studenti in corso, che spesso sono studenti privilegiati che non hanno dovuto lavorare per mantenersi agli studi.
A me è successo ed è stata un’esperienza sgradevole, io che quando non lavoravo davo esami in tempi record e con una media invidiabile, non raggiungevo il punteggio stabilito poco per entrare alla magistrale perchè fuori corso.
Io che nonostante la morte di mia zia sono riuscita a scrivere una tesi e a laurearmi neanche tre mesi dopo, mi sono sentita negare questa possibilità perchè non ero abbastanza, non per frequentare quel corso di studi.
Eppure questa cosa l’ho superata anche grazie al mio percorso, a tutti gli approfondimenti sulla società che ho fatto nel privato, spronata dalle letture che i miei professori consigliavano. Se oggi posso parlarne in maniera risoluta, ma discretamente serena, se so che non è colpa mia, è grazie a tutto ciò che ho appresso, non solo dalla vita, ma da tutto ciò che ho letto. Questo mi rende una persona libera. La cultura mi
rende libera. Quel titolo l’ho guadagnato insieme alla mia libertà.
In questi mesi di tristezza, depressione, desolazione, mi sono persa e non riuscivo a capire chi fossi, quell’intervista mi ha ridato un pezzo di me.
Sono una Dottoressa in scienze psicologiche e mi sembra un bel punto da cui ripartire.
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