Continua a sembrarmi ieri che ti ho vista esanime su quel letto e mi sono accasciata chiedendo singhiozzando “perché?”
In due anni non sono riuscita a darmi una risposta.
La depressione mi ha colto poco prima che tu peggiorassi, vederti fare avanti e indietro dall’ospedale per mesi non deve avermi fatto troppo bene, ma finito il primo ciclo di chemio ero stupidamente convinta che ormai ce l’avessi fatta e che quindi ce l’avrei fatta anche io.
Quando hanno detto che il male era tornato, ero spaventata, ma ottimista, perché eri in vantaggio di una battaglia.
Ero stanca, avevo dato in pochi mesi il quantitativo di esami che si danno in un anno e mezzo, così mi sono detta che avevo tempo, che laurearmi a marzo non era così urgente, che avrei dato l’ultimo esame ad aprile invece di esaurirmi e che mi sarei laureata tranquillamente a luglio. Sono stata debole ed egoista. Non ho visto quanto eri stanca tu. Eppure per quell’ultimo esame mi hai sostenuto, credevo di non farcela e tu eri lì, mi hai dato la forza per superarlo e nel tuo ultimo messaggio mi consolavi. Tu consolavi me. Una povera disgraziata depressa che diceva di voler morire, mentre tu lotttavi per sopravvivere, per vedermi laureata. Io non me lo meritavo.
Ho passato quell’esame e ti ho mandato subito un messaggio. Mia mamma mi disse che eri contenta, ma che ti era salita la febbre e non ce la facevi a rispondere, che ci saremmo viste l’indomani. Io ti ho vista il giorno seguente in effetti, ma tu non ti svegliavi, avevi la febbre alta. Il medico di famiglia ci disse che probabilmente non ti saresti più svegliata, che eri molto sofferente, che ci saremmo dovuti augurare che finisse presto.
Poi è successo l’inimmaginabile, durante l’estrema unzione ti sei svegliata, hai voluto mangiare. Chiedevi cosa stesse succedendo e perché eravamo tutti lì. E’ durato poco e ti sei accasciata di nuovo, ma non prima di averci ascoltati tutti, non prima di aver detto a ciascuno di noi qualcosa.
A me hai detto che avresti lottato per vedere la mia laurea, che non ne avevi mai vista una, il mio cuore credo si sia spezzato in quel momento. Sono riuscita soltanto a dirti che ti volevo bene e tu hai risposto “anch’io” con un filo di voce e spalancando i tuoi meravigliosi occhi azzurri. E’ una scena che si è stampata nella memoria. Mentre di due giorni dopo quando te ne sei andata ho dei ricordi confusi. Non ricordo chi ci fosse, ricordo solo che mi sono accasciata al tuo capezzale chiedendomi perché. Perché tu che lottavi e non io che avevo chiesto di morire.
E’ una domanda che mi tormenta ancora oggi, perché ancora oggi da brava depressa n alcuni momenti io vorrei morire e nessuno vuole ascoltarmi, perché è inconcepibile che una persona voglia morire.
Da quel giorno io non ho più saputo chi fossi, ho cominciato a mettere in discussione tutto, tutto ciò che faccio e tutto ciò che credevo di sapere e di volere.
Mia zia aveva tanti sogni che non ha potuto realizzare e ora mi chiedo se i miei sogni siano effettivamente ciò che voglio e se sto facendo del mio meglio per realizzare me stessa.
Tutta questa insicurezza fa vacillare.
Di una cosa però sono sicura: mia zia era una seconda madre per me, era una persona su cui poter contare e mi manca in una maniera indescrivibile.
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