Ieri tornavo da un viaggio in treno con una temperatura veramente esagerata, soprattutto per chi, come me, è anemica e soffre di pressione bassa, a cui a volte basta poco per avere un mancamento.

Sudata e frastornata arrivo finalmente a Empoli.

Prendo il cellulare per avvisare chi verrà a prendermi e per grazia divina questa persona mi invita fuori a cena in un ristorante giapponese, il Tokyo, molto buono e con prezzi accessibili.

Da quel momento non predo più il cellulare.

Arriviamo a ristorante e iniziamo a ordinare. Essendo una grande amante del tè, tra le varie portate, noto nel menù un tè verde freddo in lattina non zuccherato. Di norma se voglio un tè freddo non zuccherato come piace a me, me lo devo preparare e aspettare, poiché anche i famosi tè “zero” hanno al loro interno dolcificanti ipocalorici che, ammetto, mi fanno un po’ storcere il naso.

Decidiamo quindi di prendere una lattina e di provarlo e oltre al fatto che mi piaccia, noto dagli ingredienti che è anche clamorosamente genuino. Decido quindi di fare una foto alla lattina con l’intento di non dimenticare il nome di quel tè e di cercare eventuali rivenditori.

Il cellulare non è in borsa.

Penso che mi sia scivolato, ma intorno non c’è.

Guardiamo in macchina e intorno ad essa, pensando mi possa essere caduto, ma non si trova.

La persona con me prova a chiamare, nessuna risposta. Prende la macchina e torna in stazione a controllare, mentre io rimango a ristorante, in modo da essere reperibile in caso qualcuno lo avesse trovato lì vicino.

I minuti passano e vengo presa dall’angoscia, il cellulare oltre ad essere uno strumento del quale mi servo per il mio blog, è anche il regalo di compleanno dei miei genitori.

Quella che credo sia la proprietaria del ristorante si accorge del mio malessere e mi chiede molto gentilmente se può fare qualcosa. Le racconto tutto e si mostra dispiaciuta.

Nel frattempo la persona con cui ero torna, ma non ha buone notizie. Continuiamo a chiamare il mio cellulare, ma ad un certo punto risulta spento.

Non riusciamo più a mangiare e lo spieghiamo alla cameriera. Andiamo a pagare e invece di farci pagare il fisso più quello che non abbiamo mangiato, si limitano a farci pagare il prezzo fisso, li ringrazio e usciamo per recarci di nuovo in stazione.

In stazione nessuno sa dirci nulla, neanche sta lì in maniera quasi fissa, neanche dietro compenso.

Inizio a disperare e decidiamo di recarci dai carabinieri, che però ci dicono di tornare l’indomani a fare denuncia.

Siamo sotto casa quando la persona che era con me viene chiamata dal ristorante che ha rintracciato il suo numero dalle prenotazioni. Le dicono che una signora ha chiamato, dicendo che ha trovato un cellulare in mezzo alla strada e che essendo di fretta, solo dopo ha fatto il collegamento e ha pensato che potesse essere di qualcuno che si trovava a ristorante. Ci danno il numero della signora, che chiamiamo immediatamente. La signora Silvia ci dà il suo indirizzo, è un po’ lontano, ma non riusciamo a credere alla fortuna. Mentre siamo in viaggio, si premura persino di mandarci anche la posizione esatta, poiché abita in campagna e la strada non è semplice. Mezz’ora dopo sto ringraziando questa signora con le lacrime agli occhi e ho in mano il mio cellulare.

La commozione non è solo per aver ritrovato il telefono, ma soprattutto perché questa signora me lo ha riconsegnato senza volere nulla in cambio.

Sto già pensando a un modo per ricompensare la bontà e l’onestà di tutte le persone che mi hanno aiutato, non sto passando un bel momento con la depressione e i gesti di cuore degli estranei sono sempre più rari.

A volte ci dimentichiamo, soprattutto quando la vita sembra volercela mettere in quel posto, che se noi siamo brave persone e, se lo siamo non possiamo crederci esseri superiori o unici, vuol dire che crediamo che ci sia del buono nell’umanità e che quindi esistano altre brave persone.

Questo episodio ha alimentato quella fiammella di speranza che sembrava essere destinato a spegnersi e io sono grata di questo.


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