E’ difficile ammettere un crollo, soprattutto quando hai la certezza che non sia solo fisico, senza avere paura di essere etichettata come malata mentale e nient’altro.
Quando ho aperto questo blog ero convinta che il suo fine sarebbe stato far vedere che chiunque avrebbe potuto farcela, volevo far vedere che c’era il disagio, ma c’era anche la passione e la determinazione.
Nella mia vita ne ho passate di ogni: i primi ricoveri per le violente emicranie fin dall’età di 11 anni, i medici che brancolano e io che abbandono la scuola alle superiori e per tre anni resto a letto e sviluppo mentalmente tutti i miei sogni.
Non credo di essere stata più sfortunata di altri: dicevano non mi sarei mai diplomata, io mi sono laureata.
I miei genitori e mia zia hanno creduto ciecamente in me, non ce l’ho fatta da sola, ma ancora credevo nella bellezza dei miei sogni.
La mia famiglia si è sfaldata per motivi che non ho del tutto compreso ancora, ho perso i miei nonni prima che morissero e poi li ho ritrovati, uno in punto di morte e una in un punto di morte diverso, perché non è pur sempre una sorta di morte perdere i ricordi, la parola, dimenticarsi degli affetti. Così ho conosciuto anche l’alzheimer.
Ho conosciuto l’amore profondo per un’animale, un gatto, che ho perso tre mesi fa. il decorso del tumore è stato tremendo, ho dovuto prendere decisioni difficili, ma non ho potuto salvarlo.
Sono stata accusata di egoismo e di accanimento da persone che non si erano mai preoccupate di sapere come stessi, poi le persone si sono divise tra chi mi diceva che non ero pronta a salvarne un altro e chi mi consigliava di salvarne uno subito. Quasi nessuno ha sentito quello che realmente volevo, ma d’altro canto ero troppo impegnata a “normalizzare” una perdita devastante, solo per non farmi giudicare debole ed “esagerata”.
Non ho mai superato la morte di mia zia avvenuta tre anni fa, mi dovevo laureare perch lei lo voleva e io pure, dovevo perdonare chi ci aveva fatto del male perchè lei lo voleva e io pure.
Devo stare attenza a parlare del fatto che sono credente, con chi è credente perché io sono atipica, voglio che il sesso diventi un argomento come un altro, voglio l’emancipazione delle donne, la separazione netta tra stato e chiesa e la fine del controllo sul corpo e la mente delle persone, ma anche con chi non lo è, per non sentirmi giudicata, per non sentirmi dire che non sono abbastanza di sinistra.
Non riesco ancora ad abbracciare le persone fino a che il mio tasso alcolemico non sale abbastanza, forse mi sento in colpa per tutti gli abbracci che ho rifiutato a mia zia, forse ho talmente paura di invadere gli spazi altrui che non faccio entrare nel mio.
Sono sempre troppo sensibile o troppo insensibile, troppo curiosa o troppo poco, troppo inappropriata o troppo chiusa. Ma io davvero chi sono? Cosa voglio? Voglio essere felice, ma come?
Il medico in ospedale ieri ha riscontrato un forte stress, secondo lui sono troppo intelligente e troppo qualificata e non mi viene riconosciuto abbastanza. Mi ha detto di continuare a cercare, lui che neanche mi conosceva ha capito tutta l’insoddisfazione e la frustrazione di qualcuno che sa fare tanto e non trova il suo posto nel mondo. Ovviamente non posso dire quanto sono brava a fare più cose, quanto apprendo in fretta, o risulto poco modesta.
Non posso dire che sono stanca di vivere, perché sono malata e quindi è la malattia che parla, come se io non fossi anche la mia malattia e come se fosse un tabù indistruttibile parlare della morte. Divento la mia malattia solo se non soddisfo le aspettative e allora possono etichettarmi solo come una povera malata che non ce la fa. Io ho la depressione, ma si bisbiglia, perché tanto è nascosta e non lo faccio vedere, non perché non voglio, lo dichiaro apertamente, ma perché non riesco. Devo essere forte per vivere e debole per farmi curare. E’ sbagliato tutto ciò che faccio e che non faccio e allo stesso tempo ricevo complimenti. La confusione sarebbe d’obbligo, ma non troppa, il troppo mi fa ricadere di nuovo nella definizione di malata.
Non posso essere fragile o le persone si allontanano per non ferirmi e allucinantemente ciò mi ferisce molto di più.
Non posso essere complessa perché siamo nell’era delle cose smart, tutto può e deve risolversi in un clic o diventa impossibile o peggio, viene svalutato.
Invece io sono tanto stanca, tanto a pezzi e al contempo ho tante cose che vorrei fare, perché le so fare, perché è giusto farle, sono oberata da pensieri e impegni: per questo sono crollata e me ne vergogno, o forse non abbastanza e forse è questo il problema, forse non dovrei vergognarmene affatto. Crollo.


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