In questi giorni infuria la polemica sulla statua celebrativa di Indro Montanelli, che è stata imbrattata di rosso e ” deturpata” con la scritta “razzista stupratore”.
Metto doverosamente “deturpata” tra virgolette, perchè francamente a me pare un’etichettatura realistica di quello che l’uomo rappresentato in quella statua è stato.
Ci tengo a spiegare le ragioni delle mie parole e inizio dicendo riportando una citazione dello stesso Montanelli del 1936 su Civiltà Fascista:

«Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà»

Dunque Montanelli si sentiva superiore ai neri, ma sei mostrava “magnanimo” nel volergli portare un po’ di civiltà, in modo da poterci fraternizzare.

Ciò non gli vietò di “abbracciacciare i costumi locali” etiopi, come lui stesso scrive, nel 1935, dove compra una bambina d 12 o 14 anni, a seconda della versione che gli riesce più facile raccontare, e la stupra, pretendendo di legittimare con la parola “matrimonio” o con il termine ben più aberrante “leasing”, quando si parla di un essere umano, quel legame che in realtà è stato pagato. Indro Montanelli ha pagato per avere una schiava sessuale e domestica che gli portasse biancheria pulita ovunque lui andasse durante la sua permanenza in Etiopia.
Stuprata non con poche difficoltà, Montanelli ce lo spiega bene in un editoriale La stanza di Montanelli, in cui risponde alle curiosità di una diciottenne, infatti i capelli della bambina puzzavano di capra e l’infibulazione non rese facile l’appagamento sessuale dell’uomo, che si dovette far aiutare dalla madre di Destà per “abbattere brutalmente quella barriera”.

Alla fine della guerra Montanelli da il permesso a un militare indigeno di sposare Destà, che da questo matrimonio avrà tre figli, di cui il primo sarà chiamato Indro. Tanto basta a Montanelli per lavarsi la coscienza assieme al fatto che “nei Paesi tropicali a quattordici anni una donna è già donna”

Ovviamente in patria non si sarebbe mai sognato a 26 anni di comprare una dodicenne o una quattordicenne bianca, ma con una bimba eritrea nera era riuscito a fraternizzare, pur non considerando civilizzata la popolazione. Perchè se avesse accettato come civile un costume del genere, lo avrebbe accettato anche in Italia.
Eccola qui la contraddizione inacettabile ed ecco perchè trovo che le parole “razzista stupratore” siamo più una definizione che un effettivo insulto.

Molti lo difendono dicendo che in quei Paesi “si usava così”, io vorrei ricordare che in Italia era usanza che stupratore e stuprata si sposassero fino al 1981, lo chiamavano “matrimonio riparatore”, perchè riparava l’onore della famiglia della vittima. Peccato non riparasse anche le ferite psicologiche e fisiche di quest’ultima.

Inoltre non è vero che si usava così, c’erano italiani che approfittavano delle popolazioni colonizzate e c’erano italiani che non ne approfittavano. Non tutti hanno comprato un essere umano all’epoca, come non tutti erano favorevoli alla colonizzazione. Il signor Montanelli ha cercato di deresponsabilizzarsi, attribuendo la responsabilità delle sue azioni a un’usanza esotica, a cui lui si è sottoposto. Questa tecnica è molto comune anche nella nostra società per nascondere la violenza di genere.

Il problema non è che la statua di Indro Montanelli sia stata imbrattata, non è che siano apparse quelle parole, il problema è che non sarebbe mai dovuta essere eretta.


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