Livia Bianchi nacque a Melara il 19 luglio 1919 e a soli 16 anni si sposò con un ragazzo di Revere, Bruno Bizzarri.

Bruno fu spedito al fronte nella Seconda guerra mondiale e cadde prigioniero degli alleati, lasciando Livia sola e con un figlio piccolo.

Non avendo un lavoro, nel 1942 Livia si traferì presso la famiglia natale e San Giacomo Vercellese, in Piemonte. Dapprima lavorò in una risaia per poi trasferirsi a Torino dove ebbe i primi contatti con la Resistenza, a cui si unì, lasciando il figlio alle cure dei genitori.

Conosciuta col nome di Franca entrò a far parte del gruppo Umberto Quaino della 52esima Brigata Garibaldi, dove fu operativa come staffetta e combattente sulle montagne della zona del lago di Lugano. Si travestiva da mendicante per raccogliere cibo e fu anche dattilografa per il posto di blocco di Fino Monasco.

Per sfuggire ad un rastrellamento fascista, fu costretta a rifugiarsi in una baita all’Alpe Vecchio con alcuni compagni, dove sopravvisse in condizioni tremende per via delle intemperie fino a metà gennaio del 1945, quando i partigiani stremati scesero a valle trovando rifugio presso un loro conoscente antifascista.

La notte del 20 gennaio però, in seguito al tradimento del partigiano Giuseppe Personini, furono circondati dalla Brigata Nera e dopo un violento scontro, furono costretti ad arrendersi a causa di una bomba a mano gettata all’interno del loro rifugio.

Furono tutti portati al cimitero per essere fucilati. A Livia fu offerta la grazia e la libertà: sia il parroco di Portezza che i fascisti fecero forti pressioni psicologiche per farle accettare il fascismo.

Livia rifiutò l’offerta, appellandosi alla sua dignità di donna e di partigiana, quindi fu fucilata assieme ai compagni il 21 gennaio 1945.

La Repubblica Italiana nel 1947 le conferì la Medaglia d’oro al valor militare.


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