Il fenomeno dei femminicidi non si è certo fermato in quarantena, per quanto le notizie in risalto siano quelle sul corona virus e sulla pandemia, andando a cercare si scopre che i casi documentati da inizio lockdown sono già 11 in tutta Italia.
Ovviamente si tratta di dati parziali, con l’emergenza in atto è più difficile quantificare gli effettivi casi di violenza domestica e di genere, questo numero infatti non tiene conto ad esempio dei tentati femminicidi.
E’ ancora troppo presto per fare delle stime effettive, ma i centri antiviolenza parlano di un signifcativo calo delle chiamate, praticamente dimezzate rispetto allo stesso periodo l’anno scorso. Purtroppo questo non significa che siano calate le violenze, ma che più probabilmente le donne sono più restie a denunciare e terrorizzate, avendo il loro aguzzino sempre in casa.
Anche il modo in cui vengono riportate le notizie è spesso aberrante: giornalisti che parlano di amori travagliati, non corrisposti o malati. Il problema è che qui l’amore non c’entra proprio nulla, c’entra una cultura sessista che vuole la donna nel ruolo che la società tende ancora ad affibiarle: quello di moglie e madre perfetta, di angelo del focolare, di colei che si prende cura della famiglia a discapito delle sue necessità di donna e di essere umano.
Un altra faccia di questo problema sono le persone che rifiutano il concetto di femminicidio e di violenza di genere, dicendo che la violenza può essere praticata da tutti, che non c’è differenza tra un femminicidio e un omicidio. Non capiscono che la differenza è culturale, che mentre un omicidio può avere diverse motivazioni, quando si parla di femminicidio, si sta già parlando della motivazione, si sta già dicendo perchè quella donna è stata uccisa. Quella donna è stata uccisa perchè si è rifiutata di compiacere un uomo, che lo ha trovato inaccetabile, questo ha scatenato la rabbia feroce di qualcuno cresciuto in una cultura in cui gli è stato insegnato che la donna deve dire sempre di sì, deve essere pronta a soddisfare i bisogni altrui, un’oggetto di cui si può disporre, di cui si ha il controllo sulla vita, fino a togliergliela se la donna non “funziona” come lui si aspetta.
Questa cultura del patriarcato non si ferma in quarantena, l’unico modo in cui può essere fermata o limitata è educando le persone a uscire dai ruoli che la società gli impone, lottare per un’educazione che parta dalle scuole primarie e dell’infanzia. Non tacere di fronte alle violenze, se sentiamo delle urla di dolore che vengono dai vicino, non dobbiamo lavarcene le mani pensando “i panni sporchi si lavano in famiglia” o “tra moglie e marito non mettere il dito”. Alcuni tentati femminicidi, non sono stati portati a termine proprio grazie al tempestivo intervento dei vicini, che hanno chiamato subito le forze dell’ordine. Non possiamo e non dobbiamo girare la testa e pensare che non sono fatti nostri, il problema è nella società, ribellarsi ai pregiudizi e denunciare salva anche noi stessi da quelli stessi stereotipi in cui vogliono forzarci a entrare.
Vorrei ricordare alle donne vittime di violenza inoltre che se non riescono a trovare il modo di chiamare il 1522, il numero antiviolenza attivo 24h su 24 e 7 giorni su 7, è possibile parlare con gli operatori anche tramite chat da computer o app su telefono. Anche la polizia di stato ha un’app “youpol” che è a disposizione per segnalare i reti di violenza domestica. Ricordate di cancellare sempre la cronologia del pc o del telefono, in caso vostro marito o il vostro compagno controlli i vostri dispositivi.
Spero che questo articolo sia stato utile a molti, sia per fare un po’ di chiarezza, sia per chi si trova in uno stato di bisogno.


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