Lidia Poët nacque nel 1855 in una famiglia benestante a Perrero, vicino a Torino.
Conseguì il diploma di maestra a Pinerolo, dove si era trasferita adolescente, presso l’abitazione di uno dei fratelli, Enrico, un’avvocato.
Si trasferì per u breve periodo in Svizzera per imparare il tedesco e l’inglese e, una volta tornata a Pinerolo, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Torino nel 1878, ottenendo la laurea nel giugno del 1881, con una tesi sulla condizione femminile nella società e sul diritto di voto per le donne.
Svolse la pratica forense presso lo studio dell’avvocato e senatore Cesare Bertea per due anni, passaggio indispensabile per accedere agli esami per diventare procuratore legale, che superò, facendo poi richiesta di accedere all’Ordine degli Avvocati di Torino. Non essendo vietato alle donne di entrarvi, seppur con un seguito di polemiche non indifferenti, Lidia fu accolta con otto voti a favore e quattro contrari, diventando così la prima donna in Italia ad entrare nell’ordine.
Purtroppo la questione non era andata giù a molti e nonostante le repliche di avvocate di altre nazioni come Clara S. Foltz, nel 1883 la Corte d’appello accolse la denuncia del procuratore generale, che come altri credeva che la professione forense dovesse essere praticata come pubblico ufficio e, dato che l’accesso ai pubblici uffici era vietato alle donne, annullò l’iscrizione della Poët. A nulla valse il ricorso dell’avvocata e il fatto che la Poët avesse molti sostenitori tra cui il noto avvocato Santoni De Sio e il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Venezia, che invitavano a porre fine alle discriminazioni contro le donne.
Gli oppositori d’altro canto sostenevano che le donne non fossero adatte all’avvocatura per due ragioni in particolare. La prima era legata al ciclo mestruale, che le avrebbe, secondo loro, rese meno serene e poco lucide per almeno una settimana al mese. La seconda era di carattere giuridico, in quanto le donne non godevano degli stessi diritti dei colleghi uomini, dipendevano dalle decisioni di un uomo, che esso fosse il padre o il marito e che quindi non avrebbero potuto praticare in libertà la professione.
Le femministe si affrettarono a screditare la prima affermazione, priva di qualsivoglia evidenza scientifica, e a cogliere la palla al balzo riguardo la seconda, per rivendicare i diritti delle donne e quindi per chiedere rimuovere legalmente questo “ostacolo” puramente arbitrario.
Nel frattempo aumentò il numero delle donne laureate in legge e la Poët non smise mai di lottare per il diritto di queste a esercitare.
Negli anni seguenti collaborò col fratello Enrico, divenne un’attivista per le donne e i minori e sostenne la causa del suffragio universale femminile.
Partecipò nel 1883 al primo Congresso Penitenziario Internazionale a Roma e fu inviata come delegata allo stesso congresso svoltosi a San Pietroburgo nel 1890. Entrò inoltre a far parte del segretariato del Congresso come rappresentante italiana. Ricevette anche a nomina di Officier d’Académie da parte del Governo Francese. Venne insignita della medaglia d’argento per aver prestato servizio come infermiera della Croce Rossa durante la prima guerra mondiale.
Con la legge Sacchi del 1919 che aboliva l’autorizzazione maritale e autorizzava le donne a entrare nei pubblici uffici, anche se non in tutti, Lidia Poët poté finalmente rientrare nell’ordine e rivendicare il suo titolo di avvocata.
Continuò il suo attivismo diventando nel 1922 presidente del comitato pro voto donne.
Morì nel 1949 a Diano Marina e venne sepolta nel cimitero di San Martino.


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